Incontro con Padre Pio d’Andola di Arturo Capasso

L’ho visto alcune volte durante un pellegrinaggio in Terra Santa. Era sempre molto attivo ad illustrare i luoghi di Gesù ed integrava – con passione e grande spiritualità - quanto dicevano le guide ufficiali. Al ritorno, gli ho inviato le mie osservazioni su quel viaggio e da allora siamo diventati amici.

1) Padre Pio, come e quando avesti la vocazione?
«Il mio vero nome è Gaetano. Volturino, il mio paese d'origine, si trova a circa 750 metri d'altitudine, sulla strada che porta da Foggia a Campobasso. Alla mia età di bambino, il mio paese contava poco più di mille abitanti. Come si usava allora, la mia famiglia era conosciuta con un soprannome: "quelli dell'otto settembre". Eravamo talmente numerosi da ricordare la lunga serie delle statue dei santi che accompagnavano la solenne processione della Madonna che si faceva in occasione della Natività di Maria.Anche per questo sono particolarmente devoto alla mamma di Gesù. Papà faceva il sarto e aveva un negozietto di merceria. Non mancava mai alla messa. Posso dire con certezza che la mia chiamata a seguire Gesù è passata dalla vita, dalla fede, dalla voce di papà Pasquale». La svolta nella mia vita arriva una sera, dopo il vespro. E ha l'aspetto e il saio ruvido di un frate. Padre Giacomo Melillo, ora 93 anni e ancora lucidissimo, passeggiava quella sera nei pressi di casa mia. Mio padre lo salutò e bastò un suo sorriso per soggiogarmi. Ora ricordo benissimo di aver subito un fascino irresistibile: dopo aver frequentato un solo giorno i banchi della quinta classe elementare, decisi di mollare tutti gli interessi per incontrare il mio frate. Dovevo lasciare il mio Maestro di musica che già mi aveva misurato il labbro per affidarmi uno strumento per la banda paesana. Avevo una innocente segreta amicizia con la compagna di classe Maria, e la sera dell’otto ottobre passai dalla sua casa per salutarla l’ultima volta: non la trovai. Cosi il giovedì 9 ottobre del 1941 entravo nel Collegio serafico di Ascoli Striano (Foggia), dove mi accolse proprio padre Giacomo. Aggiungo un inciso. Nel 2001 un compagno di classe volle riunire tutti gli alunni del 1941 per festeggiare un 60° anno dopo. Nella mia Volturino ho potuto salutare e riabbracciare la Maria e il suo Sposo. Ora lei continua ad inviarmi le sue poesie e ad augurarmi un santo apostolato! La guerra, i bombardamenti ripetuti su Foggia, le partenze da e per il seminario, col carretto o a piedi, l’invasione del mio paesello da parte dei tedeschi, il passare in mezzo ai soldati con i mortai, i volti tristi dei miei per le difficoltà della sussistenza, la fame sofferta nel seminario non mi hanno distolto dal mio programma. E mi accorsi, come capitò anche a padre Agostino Gemelli, di essere nato francescano. Poi, a quindici anni, su un carretto trainato da un mulo, raggiunsi il noviziato dei frati minori a Casacalenda (Campobasso). Era obbligatorio cambiare il nome e allora io, Gaetanino, affascinato dalla figura di Papa Pacelli, scelsi come nome religioso quello del grande Pontefice. E da allora cominciai ad essere fra Pio.

2) Cosa provasti, quando fosti ordinato sacerdote?
Caro Arturo, non posso saltare il periodo precedente alla mia ordinazione sacerdotale avvenuta il 19 aprile 1954, pochi giorni al compimento del 23° compleanno, data canonica per la consacrazione. Per questo fu richiesta una dispensa dalla Santa Sede. A sedici anni comincia la mia avventura nella professione religiosa nel convento di San Matteo Apostolo a San Marco in Lamis. E cominciai a conoscere il nome e la storia del frate stigmatizzato del Gargano. I pochi chilometri per San Giovanni Rotondo sono una passeggiata per noi studenti di liceo, e di passeggiate ne abbiamo fatte tante per i tanti incontri con la comunità francescana cappuccina e, naturalmente, con Padre Pio. Il Padre Guardiano, Padre Agostino da San Marco in Lamis, ci garantiva sempre un incontro riservatissimo con lui, che si tratteneva con noi in gustosa conversazione nel corridoio del conventino o in un vialetto del giardino. Alla fine il Padre Guardiano ci offriva dei taralli e un bicchiere di vino rosso nel refettorio della comunità. La tradizione ci permetteva, ogni anno nel periodo pasquale, di scambiare l’invito a mensa con i confratelli cappuccini. E durante il pranzo, noi giovani goliardi eseguivamo dei canti polifonici che Padre Pio seguiva molto divertito. A me piace ricordare qualche incontro personalissimo con lui, che mi convince della sua genuina semplicità, della sua francescana schiettezza. “Senti, Padre, questo chierico si chiama fra’ Pio", esclama un mio compagno, come per regalarmi una presentazione al personaggio. “Ah! allora dobbiamo farci santi tutti e due!” aggiunse Padre Pio, assai compiaciuto. Ormai il nome “Pio” cominciava a pesarmi e mi faceva sentire un disagio enorme soprattutto negli incontri di San Giovanni. Una volta Padre Pio, quando il mio confratello ripropose la questione del nome, ruppe l’incanto e, sorridendo compiaciuto, esclamò in un bellissimo dialetto paesano: “Ah! mbè, guagliò: pùrtete buono e numme fa’ scumparì, sennò càgnete nomme” (Ah” bè, ragazzo, comportati bene, e non farmi fare brutta figura, altrimenti, cambiati il nome!). Ora so che la brutta figura la farei io se non dessi una testimonianza vera della mia vocazione francescana, perché ormai lui è San Pio mentre io sono soltanto Padre Pio, naturalmente di una parternità putativa e partecipata. Un altro ricordo tutto personale l’ho vissuto il giorno 15 giugno 1956. Mio fratello Armando, ventitreenne, sconfitto da un terribile male, mi domandò se fosse stato possibile chiedere una benedizione di Padre Pio. Così il fratello Pietro mi trasportò su una lambretta per i circa sessanta chilometri che separano Volturino da San Giovanni Rotondo. Padre Pio ci ricevette nella sua cameretta. Gli baciammo la mano ed egli dolcemente ci benedisse dicendo secco: “Domani stesso avrete un angelo che pregherà per voi in paradiso”. Il giorno 16 giugno, in tutti questi anni, è stato da me vissuto come ricordo di un fratello volato al cielo con la benedizione di un Frate che proprio il 16 giugno avrebbe ricevuto il riconoscimento solenne della sua santità sulla terra, ma pure la compiacenza di tutti i santi che sono nel Paradiso, compreso il mio diletto fratello Armando. Son così trascorsi gli anni senza contarli. Ora mi chiedi cosa ho provato quando sono stato ordinato sacerdote. Rientrai in sacrestia della chiesetta francescana di San pasquale a Foggia completamente stordito e incontrai subito il mio Papà Pasquale che mi strinse in un abbraccio terribilmente paterno. Piangemmo insieme, come bambini. Le nostre lacrime si confusero sulle sacre vesti appena profumate di cielo! La sensazione di essere diventato un personaggio, dopo sette anni di clausura… scolastica, mi destò un sentimento di paura. Ero cresciuto rafforzando la vocazione pensando al Francesco umile e semplice della perfetta letizia.

3) Che significa essere prete, oggi?
Ma, caro Amico, cosa ancora continuo a provare oggi, dopo 53 anni? Non puoi fare a meno di sorridere se ti dico che ho quella stessa paura un poco più motivata. Non sono più un sacerdotello appena unto: mi conoscono in tanti, mi sento guardato da tanti occhi, come frate, come gestore di tanti carismi (musicista, geometra, radioamatore, missionario, ecc.). so che l’apostolo corre il rischio di annunziare se stesso credendo invece di presentare il Cristo. Questo rischio lo intuì Francesco quando, desiderando di diventare cavaliere perché gli uomini avessero bisogno di lui, una voce lo scaraventò dalla parte degli ultimi e capì che bisognava diventare o conservarsi piccolo perché sarebbe stato lui ad aver bisogno degli uomini, dei poveri, degli ultimi, degli stessi peccatori. Ma non è vanagloria. Tutto serve per dare lode e gloria al Signore che si serve dei semplici e degli umili per compiere le sue meraviglie. Chi ha ricevuto dei doni, deve metterli al servizio del regno di Dio. Essere prete vuol dire continuare la presenza e l’opera di Cristo sulla terra. Perché Cristo continua ad insegnare con la nostra voce, a benedire attraverso le nostre mani, a camminare per i tortuosi sentieri del mondo con i nostri piedi, ad amare e perdonare, tutti, con il nostro povero cuore. Se il prete non è questo non è un prete ma un attore. Ti faccio conoscere un testo preparato per un sacerdote appena consacrato: Tu Sacerdote eterno del Signor, strumento sei di luce nel mondo: per te la voce leviamo verso il Cielo e Cristo a noi si dona per te. Per te Cristo è presente tra gli uomini, per te Cristo ne asciuga le lacrime; le tue mani segnate di Cielo lo sollevano vittima per noi. Nel tuo corpo coloro che soffrono, nel tuo cuore coloro che amano: per amar questo mondo il Signore ha bisogno di vivere in Te. Tu sacerdote eterno. Giovanni Paolo II nel Giovedì Santo del 2005 rivolse ai sacerdoti queste parole: “Noi sacerdoti siamo i celebranti, ma anche i custodi di questo sacrosanto Mistero. Dal nostro rapporto con l'Eucaristia trae il suo senso più esigente anche la condizione « sacra » della nostra vita. Essa deve trasparire da tutto il nostro modo di essere, ma innanzitutto dal modo stesso di celebrare. Mettiamoci per questo alla scuola dei Santi! L'Anno dell'Eucaristia ci invita a riscoprire i Santi che hanno testimoniato con particolare vigore la devozione all'Eucaristia . Tanti sacerdoti beatificati e canonizzati hanno dato, in questo, una testimonianza esemplare, suscitando fervore nei fedeli presenti alle loro Messe. Tanti si sono distinti per la prolungata adorazione eucaristica. Stare davanti a Gesù Eucaristia, approfittare, in certo senso, delle nostre « solitudini » per riempirle di questa Presenza, significa dare alla nostra consacrazione tutto il calore dell'intimità con Cristo, da cui prende gioia e senso la nostra vita”.
Un'esistenza protesa verso Cristo.

4) … ed essere cristiano?
Credo non ci sia molta differenza. Su questo problema riferisco a mente delle riflessioni Severino Dianich che se mai fosse possibile individuare dei parametri con i quali misurare la relazione delle attività svolte oggi dai preti e dai vescovi al loro carisma sacramentale specifico, molto probabilmente scopriremmo che molti di loro, per la maggioranza del loro tempo, fanno cose per le quali non è affatto necessario il sacramento dell’ordinazione. Per ogni cristiano c’è il sacerdozio battesimale, mentre per i preti quello ministeriale. In molti casi i preti si dedicano ad altri servizi, nobili e utili quanto si voglia, ma ai quali il loro sacramento non li destina. Un ministero molto determinato non può davvero essere pensato come destinato a qualsiasi servizio da rendere alla chiesa, sulla base esclusiva dei carismi personali di questo o quel soggetto. Non deve accadere, infatti, che coloro che ricevono il sacramento dell’Ordine esercitino il loro ministero occupando il campo proprio dei fedeli dotati di altri carismi e lascino sguarnito lo spazio che dev’essere gestito dal sacerdozio ministeriale. “Ora - continua Dianich - se l’evangelizzazione, secondo il concilio Vaticano II, è compito di tutto il popolo di Dio. e ogni credente evangelizza a partire dal di dentro della sua personale storia di fede, il ministro ordinato deve avviare a questo compito la comunità e guidarla, assicurandole la continuità del suo annuncio con la tradizione apostolica, in modo che nessun nuovo vangelo, ma quello apostolico venga annunciato e proposto continuamente a fondamento della chiesa che da questa fonte incessantemente si rigenera. L’annuncio non è quindi un compito esclusivo del ministero ordinato, ma la comunità compie la sua missione unita al suo pastore, nel cui sacramento essa trova il cavo portante della tradizione apostolica, e quindi la certezza di attingere dalla sorgente la fede in forza della quale essa esiste e che essa comunica al mondo. Dall’esperienza viva e appassionata del prete e del vescovo che, sostenuti dal carisma del proprio sacramento, alimentano la vita e la vitalità della comunità con il ministero della Parola, accolta come il dono originario, sorgivo e normativo di tutta la sua esistenza, è derivata nei pastori della chiesa, lungo la tradizione, quella particolare coscienza della paternità che li lega, anche negli affetti, ai loro fedeli”. Il modello è quello di San Paolo che scrive ai fedeli di Corinto come a dei figli carissimi, ricordando loro che essi possono avere in Cristo anche mille maestri, ma non certo molti padri, perché è lui che li ha generati in Cristo Gesù mediante il vangelo. Purtroppo ci sono tanti che dicono di essere cristiani, ma secondo me, non lo sono. Sarebbe meglio essere cristiani senza dirlo che dirlo senza esserlo.

5) La società sta cambiando. Che fare?
Ho letto da qualche parte che un giorno il re di Spagna, preoccupato per una società in spaventoso cambiamento, chiese a un santo frate francescano (mi pare il fratello laico, già pastorello, fra Pasquale Baylon) cosa bisognava fare: E quello rispose con somma innocenza: “Bisogna vivere santamente”. Di rimando il re: “Come facciamo a farlo sapere a tutto il popolo?”. E il frate ancora: ”Non c’è bisogno di farlo sapere, è necessario farlo vedere; cominciamo subito noi due!”. Il provvidenziale Convegno di Verona ha rilanciato ai cristiani l’impegno di essere testimoni di speranza, In un mondo in continuo frenetico bisogno di muoversi, di dominare, di desiderare gli altri ma anche di isolarsi nella cosiddetta privacy, è necessaria la presenza di persone che diano coraggiosa testimonianza di vita. Gesù dice: Voi siete il sale della terra. Cosa è il sale: certo non è una pietanza. Ma sappiamo a cosa serve: è nascosto e presente nelle vivande per dare ad esse il gusto di mangiare. Il cristiano cosa è: certamente non è un essere straordinario da digerire. Sappiamo da Gesù a cosa serve: umile e silenzioso deve dare nel mondo il gusto, il sapore della presenza amoroso di un Dio Padre. Me ne hai dato un esempio recente nell’Amico de Antonellis. Ancora Gesù: “ Come un poco di lievito in uno staio di farina, che fermenta tutta la pasta”. Io aggiungerei timidamente: Come una goccia di profumo in un angolo della casa che, invisibile, è presente per donarsi a tutti i presenti.

6) A scuola, come dovrebbe svolgersi l’ora di religione?
I miei diretti Superiori mi hanno mandato a perfezionarmi nelle materie tecniche per insegnare nei nostri licei. Ho studiato perciò Scienze Naturali, ma poi ho insegnato matematica nei ginnasi interni, per la delizia degli studenti aspiranti. Poi mi hanno chiamato a dare lezioni di religione in un Istituto tecnico per Geometri. Dissi subito ai ragazzi che non intendevo farne dei missionari. Dissi subito che la prima cosa religiosa da tener presente è il rispetto della propria vita e ogni momento di relazione sincera con il prossimo. È religioso e sacro stringere una mano, offrire un caffé, abbracciare un amico per condividere un lutto, rispondere a un saluto, rispettare le precedenze, e le leggi umane che non sono contro l’uomo. Ma soprattutto amare e saper perdonare. Inutile insegnare religione senza aver fatto capire queste verità. Così, nelle aule dell’Istituto, ai giovani distratti, alle ragazze intente a maneggiare ferri per maglie ho presentato il Gesù dei Vangeli “qui coepit facere et docere”.Perché bisogna dare esempio di vita prima di tentare di offrire una lezione fatta di parole. Ma poi mi sono accorto che non era questa la mia missione. Per sole nove ore alla settimana dovevo essere a disposizione tutti i giorni, senza poter svolgere la mia testimonianza di francescano. Dopo il terzo anno ho rifiutato insegnamento e stipendio che mi facevano sembrare un impiegato. Però l’ora di religione è indispensabile perché la nostra società, compresi i sommi politici e anche molte persone responsabili di cose religiose, è paurosamente ignorante in materia religiosa. Si disprezza la Chiesa, si apprezzano le varie sette, si danno giudizi scandalosamente pesanti solo per gusto di apparire protagonisti. Una volta si chiedeva se esistesse Dio, ora si dovrebbe chiedere se esistono i cristiani. Nella Custodia francescana le Scuole si trovano in Israele, Giordania, Cipro, Egitto, Libano. Le Scuole e i Collegi sono 16, con un totale complessivo di oltre 10.000 alunni fra cattolici 60% (latini, greci, armeni, siriani, copti, maroniti, caldei), non cattolici e non cristiani il resto di 40%. Molti non cattolici e moltissimi musulmani preferiscono le scuole francescane perché sono rispettose delle loro scelte e danno un panorama oggettivo della fede nel mondo. Gli stessi Stati, non cristiani, apprezzano le scuole della Custodia fino a garantire un sovvenzionamento fino al 70%. Imparino i politici italiani!

7) Il problema dell’emigrazione ed immigrazione; c’è qualche episodio particolare di cui sei stato testimone?
A me pare che su questo problema si faccia mastodontica confusione. Durante il periodo di terremoto dell’Irpinia affidarono al nostro convento l’ospitalità temporanea per una famiglia di cinque persone. Non si poteva di più. Sono state in convento sei mesi come facenti parte della Fraternità in ogni necessità. Poi, dopo la ricostruzione della loro abitazione sono ritornati tutti a casa loro. Non ci siamo lamentati se nessun politico ci ha visitati o offerto un aiuto economico come solennemente promesso, né quando ci siamo accorti che hanno portato con sé anche coperte e lenzuola della Comunità. Però è stata tutta una emergenza. In Italia c’è il rischio che fra cento anni gli italiani si ritroveranno ospiti in casa loro. Forse non avranno nemmeno una casa e dovranno abituarsi ad ereditare dai nuovi occupanti il servizio dei lavavetri ai semafori delle città.

8) Quale è stato – secondo te – il momento di maggiore splendore della Chiesa?
E quello di maggiore ombra? Il primo maggiore splendore della Chiesa è stato il momento in cui essa è nata dal costato di Cristo forata dalla lancia del soldato romano. Poi tutte le volte che gli apostoli sono stati villaneggiati per il nome di Cristo. E poi ancora ogni volta in cui un cristiano veniva sbranato dai leoni nel circo Massimo di Roma. E nel corso dei secoli e oggigiorno tutte le volte che si ridicolizza il Mistero della Croce, del Sacramento della Eucaristia, la figura del Papa. La grandiosità dei raduni, le manifestazioni oceaniche non appartengono alla grandezza della Chiesa ma al mistero di Cristo: questa è il suo splendore. Anche Gesù ha sfamato migliaia di persone e ha annunziato le Beatitudini ad una folla impressionante, ma poi si ritirava in preghiera per completarne la grandezza. È splendore della Chiesa quando un sacerdote poverello di questo mondo, obbedendo al comando di Gesù: Vi do il potere di rimettere i peccati, nel silenzio e nel segreto di un confessionale alza la mano guidata da Dio per assolvere anche il più grande peccato. Non è questa grandezza e mistero di fede insieme? I momenti peggiori sono causati dalle umane debolezze dei suoi uomini, anche migliori. Gesù scelse i suoi primi uomini e qualcuno ha avuta una grande debolezza. Oggi ci sono ancora tanti che, in percentuale anche maggiore, continuano ad avere debolezze che sembrano offrire ombre alla Chiesa di Gesù. Ma la Chiesa è Lui con tutto il suo Corpo mistico che sono i cristiani dell’intera umanità.

9) Papa Giovanni Paolo II: perché il suo pontificato è stato così grande? Quale è stata la tua emozione quando l’ hai incontrato?
Non sono mio ad affermare che il pontificato di Giovanni Paolo II è stato così grande. Lo hanno affermato gli uomini di ogni razza o popolo, nazionalità o fede, uomini, giovani e fanciulli. Ma tu chiedi il perché: perché il mondo ha cominciato ad avere più speranza, più coraggio, perché questo Papa che ha soffiato sul mondo il respiro di Dio, il cuore degli uomini si apre a Cristo. Perché ha scosso le seggiole dei potenti, ha dato coraggio ai perseguitati e agli ultimi, ha tuonato contro le ingiustizie, ha amato tutti, specialmente i giovani, con un cuore di fanciullo. Con altri due miei confratelli ho ricordato ai suoi piedi il 50° del mio sacerdozio nell’aprile del 2004. La mia emozione: una tenerezza infinita, uno stimolo profondo alla fede. Difficile dimenticare.

10) …e Benedetto XVI?
Ogni Papa è figlio del suo tempo e regge la Chiesa in persona Cristi. È degno successore di un grande. Perciò non è stato difficile volergli bene, per la sua semplicità, per la sua dottrina, per il suo coraggio, per la sua fede.

11) Se diventassi Custos Terrae Sanctae, quali sono le prime cose che faresti?
Saprei subito cosa non fare. “Quando sei chiamato, non scegliere il primo posto”: lo ha detto Gesù.Allora fare come Francesco: cercherei un dialogo impossibile con i moderni sultani del mondo. Ma poi mi accorgo che i moderni sultani non hanno niente a che fare con Melik el Kamel, che era sì maomettano, ma nel profondo, avendo ricevuta tanta impressione da un cristiano diverso dagli altri (che sarebbero stati presto martirizzati), aveva tanti valori nascosti vicini a quel Cristo che altri suoi sudditi dichiaravano nemico. E poi sono certo di non diventare mai Custos Terrae Sanctae!

12) Quali sono le tue aspirazioni di sacerdote?
Ho pregato: Turba, Signore il nostro gioire, riempi di gioia il nostro soffrire. Questo è stato il segreto della Letizia di Francesco. La mia aspirazione è offrire la conoscenza di Cristo, perché conoscendo bene Cristo, lo si possa riconoscere nei poveri e negli ultimi. Conservare lo stupore di fanciullo per le meraviglie del creato. Sono felice di stupirmi della natura, delle creature piccole e grandi, degli uccelli, dei fiori, mentre gli intelligenti e i sapienti della terra fanno i distratti e viaggiano nella vita come i borsoni sul portabagagli delle auto, senza accorgersi delle grandezze e delle opere disseminate lungo il nostro umano cammino. Ho voluto completare di getto la tua richiesta nella vigilia della Festività di San Francesco. Se avessi aspettato ancora qualche giorno, avresti dovuto attendere non so quanto tempo ancora. Mi affido alla tua pazienza e comprensione Castellana 3 ottobre 2007 Pace e bene fra Pio d'Andola.