Riflessioni di un pellegrino

Durante il pellegrinaggio vissuto con alcuni confratelli francescani e tutti i fratelli pellegrini dal 15 al 22 scorso, più volte la nostra Guida Padre Pio d’Andola ci ha amabilmente invitati a scrivere alcune nostre impressioni; forte del suo invito getto queste mie poche righe che certamente saranno molto utili a quanti un domani dovranno intraprendere questo salutare viaggio per la Terra Santa. Pertanto inizio così affermando che quando un cristiano visita per la prima volta la Palestina, l’incontro con la terra di Gesù - a meno che egli non sia accecato dal sentimentalismo - si traduce in un forte shok. E non solo sul piano artistico, ma anche sul quello della fede. La scoperta dell’aridità desolante di quella terra senza alcunché di celestiale, senza un fiume, senza un monte di un certo rilievo; la costatazione della mediocrità artistica e del pessimo gusto di quasi tutti i monumenti che in qualche modo ricordano Gesù; la grossolana commercializzazione del sacro che assale il pellegrino; il continuo clima di guerra, con quei mitra spianati ad ogni angolo e quei volti oscurati dal rancore che spuntano dappertutto; l’accanita ostilità tra i vari gruppi cristiani, latini, greci, copti, armeni... - sempre pronti ad arraffare quanto conservi le tracce di Cristo.., tutto ciò fa si che più d’uno, soprattutto se è giovane, senta vacillare la propria fede anziché vederla rinvigorire come si era immaginato prima di partire per la Palestina. Ma se si va più in profondità il pellegrino si accorgerà ben presto che non è la sua fede che vacilla, ma soltanto la dolce massa di sentimentalismo sotto cui l’aveva sepolta. Ecco perché un viaggio in Palestina ha sempre un effetto d’urto. E’ impressionante constatare come Dio nello scegliersi una patria abbia privilegiato questa terra senza un granché dal punto di vista geografico. Eppure nel mondo ci sono “paesaggi religiosi” dove la natura già di per sé assume vibrazioni particolari: foreste o boschi o monti che sono come porte spalancate sul mistero e in cui ci parrebbe “logico” che apparisse o si verificasse qualcosa di soprannaturale. E non avrebbe almeno potuto “preservare” dalla violenza, dall’odio, dal cattivo gusto questa “sua” terra. Veramente strano questo Dio della rivelazione biblica, che evidentemente ha una logica diversa dalla nostra. Incarnandosi in Palestina Egli entra in pieno nella pesantezza umana, si fa uomo senza titoli, un pover’uomo come qualsiasi altro uomo di questa razza umana. La terra di Palestina è tutto fuorché un terra di “lusso”: è il quinto vangelo dell’incarnazione totale, piena, dell’accettazione del mondo proprio così com’è. E’proprio vero, come afferma il profeta Isaia che “ i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e le sue vie non sono le nostre vie”, infatti anche quando si legge nelle Lettere di San Paolo: ” Quando venne la pienezza dei tempi”, ci potrebbe far supporre che il Cristo sia venuto alla luce in una specie di “super tempo” in cui gli orologi si sarebbero fermati, i contrasti sociali placati, un armistizio generale della storia avrebbe fatto cessare qualsiasi conflitto o guerra. Ma in questa maniera il Cristo non sarebbe stato pienamente integrato nella nostra umanità fatta di lotte e fatiche, ma piuttosto una specie di ospite di lusso che avrebbe soggiornato per qualche anno in un tempo e in una terra privilegiati. Se però leggiamo la storia più da vicino in quello che fu il suo tempo, scopriamo che non si trattò assolutamente di un’epoca preservata da travagli esistenziali mondiali. Il tempo in cui si è incarnato il Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, fu un tempo di morte, di pianto, e di ingiustizie, tempi di amori e di sangue come ogni epoca della storia. Collocare il Cristo in un ambiente ovattato significherebbe tradirlo e non riusciremmo a conoscerlo bene. Applicando questi criteri storico-biblici alla nostra vita di ogni giorno ci sembrerà più facile sperimentare la presenza di Dio nella nostra vita impastata di peccato e di grazie, di fede e di incredulità, poiché Dio si fa presente in una maniera particolare in quelli che sono i paradossi della esistenza dell’uomo. Il nostro Dio non è il Dio delle cose semplicemente possibili, ma di quelle impossibili. Come avvenne in Abramo e in Sara; come avvenne in Elisabetta e Zaccaria o come in Maria Vergine ma sempre Madre. A conclusione di questo pellegrinaggio posso affermare che non occorre più scandalizzarci delle nostre miserie, poiché Dio in Cristo si è profondamente calato in tutto l’uomo così com’è e l’ha redento, poiché la giustificazione non dipende dall’uomo, ma da Cristo che ci ha giustificati e riconciliati con il Padre. Abbraccio fortemente la guida di questo mio pellegrinaggio e tutti i compagni di viaggio che saluto con affetto ed amicizia immutata.
Padre Urbano De Colellis
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